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[ un paio di pittori ]
Non hai idea di quanto possa paralizzare lo stare a fissare un foglio vuoto: è come se dicesse allo scrittore Non sai far nulla. Il foglio ti sta a guardare come un idiota ed ipnotizza alcuni scrittori, a tal punto da farli diventare degli idioti essi stessi. Molti scrittori hanno paura del foglio vuoto, ma il foglio vuoto a sua volta ha paura di uno scrittore appassionato che sia anche audace – che una volta per tutte abbia rotto l’incantesimo del “non sai scrivere”. [1]
Dur. 09' 03"
Intanto che oramai sono apparsi un paio di libri, tanto vale metterli in movimento per scriverci dentro una storia.

Tenendosi in testa il caratteristico copricapo delle donne arlesiane, madame Ginoux si sistemò in una sedia che era quasi una poltrona: interamente in legno, aveva un comodo sedile in paglia riservato esclusivamente alle comodità di Paul Gauguin.
Da tempo la donna aveva promesso di posare per i due pittori, e quando finalmente a novembre si recò nella casa gialla non concesse di più.
Una accortezza carpita forse in occasione di una seduta per un ritratto fotografico, suggerì alla donna di poggiare il gomito sinistro sul piano del tavolo per sorreggersi il volto con la mano, così da mantenere la testa ben ferma durante la lunga posa.
La posizione fu approvata dai due pittori, e la seduta ebbe inizio.
Gauguin preparò uno studio a carboncino, e disegnando biasimava la facilità con la quale Vincent aveva affrontato subito con i colori ad olio il ritratto della donna; non riusciva proprio a capacitarsi della leggerezza mentale di quanti si trovano senza tormento attorno al loro pennello. Continuava a disegnare e intanto meditava di andarsene al caffè.
Trascorse almeno un’ora prima che i due pittori terminassero i rispettivi lavori. Allora madame Ginoux scattò su, arraffò l’ombrello e i guanti, che aveva sempre tenuto a portata di mano, e dopo un sommario saluto uscì finalmente all’aria aperta. 
Sembra proprio che tra quei convenuti solo Vincent fosse l’unico felice di stare al suo posto, lì nella sua casa gialla.
Dopo qualche giorno Gauguin inserì il suo studio a carboncino dell’arlesiana nella grande composizione ad olio di un caffè di notte.[2]
Intanto Vincent - inventore dell’istantanea pittorica e cultore della sincerità stenografica - era passato a studiare altro; come l’effetto notturno della sedia vuota di Gauguin: senza più l’arlesiana e senza neppure Gauguin (era finalmente uscito?), sul sedile in paglia adesso sono sistemati due romanzi e una candela accesa.[3]
D'altronde Vincent aveva già dipinto quello stesso caffè che ora anche Gauguin preparava, e ne aveva parlato in questi termini in una lettera al fratello:

Nel mio quadro sul Caffè di notte ho cercato di esprimere l’idea che il caffè è un posto dove ci si può rovinare, diventar pazzi, commettere dei crimini. Inoltre ho cercato di esprimere la potenza tenebrosa quasi di un mattatoio, con dei contrasti tra il rosa tenero e il rosso sangue e feccia di vino, tra il verdino Luigi XV e il Veronese, con i verdi gialli e i verdi blu intensi, tutto ciò in un’atmosfera di una fornace infernale di zolfo pallido, tuttavia sotto un’apparente levità giapponese e un bonomia alla Tartarin.[4]
Alla “bonomia” tartarinesca probabilmente non importava metter mano, ma sulla “levità giapponese” forse Gauguin aveva da dir la sua; e per mettere ordine in questo caffè [5] Gauguin abbassa il punto di vista scelto da Vincent, raddrizza lo spazio e imposta il dipinto su fasce orizzontali, scandisce la profondità con la losanga verde del piano del biliardo e separa gli elementi del fondo da quelli di primo piano per incastravi dentro madame Ginoux.
Gauguin dipinge con gli stessi colori di Vincent il caffé popolato degli stessi anonimi avventori annotati dall’amico, ma su tutti stavolta domina la singola figura dell'arlesiana madame Ginoux.

In questa visione del caffè di Gauguin, la gentilezza rosa del vaso di fiori di Vincent adesso dobbiamo forse cercarla in un gatto accucciato sotto il biliardo; e mentre delle allucinate lampade di luce artificiale dipinte da Vincent rimane soltanto una vaghezza appesa, della bomba ad orologeria che segnava la notte nella visione vangoghiana, non resta più nulla.
Con una rappresentazione dall’alto di uno spazio sghembo, svuotato quasi appositamente come una piazza per far largo a chiunque volesse entrare in quella “fornace infernale” per farne le spese, van Gogh aveva dipinto le circostanze stesse in cui “ognuno” si può rovinare.
Nel caffè di Gauguin, invece, anche l’adescamento disordinato all’ospitalità insidiosa delle sedie vuote, in attesa, viene revocato dalla lusinga confidenziale di bersi - appartati con la donna - un bicchierino.
E con ciò l’ispirazione popolare di Vincent svanisce in spire fumo.
[1] - Parafrasi dalla lettera a Theo n. 378, del novembre 1885.
[2] - Paul Gauguin, Caffè di notte ad Arles (Madame Ginoux), Arles, novembre 1888, olio su tela, cm.73x92, Mosca Museo Puskin (fig. sopra).
[3] - V. van Gogh, La sedia di Paul Gauguin (la sedia vuota), Arles, dicembre 1888, olio su tela cm.90,5x72,5 (Faille 499), Amsterdam, Van Gogh Museum. Al fratello Theo tenne a precisare che si trattava di due romanzi francesi, uno rosa e uno giallo (fig. qui a destra).
[4] - Vincent a Theo, Arles 9 settembre 1888 (n. 677-534).
[5] - Così come l’ex agente di Borsa tentava di fare con l’amministrazione comune della casa gialla.
In alto –  V. van Gogh, La notte nel caffè di piazza Lamartin ad Arles (F 463), Arles 5-8 settembre 1888,
olio su tela cm.70.0x 89.0; Yale University Art Gallery, New Haven, Conn.



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